AUTOMATISMI: buoni o cattivi?

 

Il cervello si basa su un principio di economia in cui ciò che ci è utile viene memorizzato e possibilmente proceduralizzato, viene cioè reso indipendente dalla nostra attenzione.

Si svilupperanno così i nostri comportamenti automatici, comportamenti che non necessitano di una costante attenzione nell’eseguirli, come ad esempio guidare la macchina. Dopo anni di pratica siamo in grado di parlare con il passeggero seduto vicino a noi o pensare a quello che dobbiamo fare nella serata e in concomitanza guidare senza prestare attenzione a ogni singolo gesto che facciamo.

Ben diversa è la situazione quando impariamo a guidare: ogni movimento ci appare difficile da coniugare con gli altri, ricordare la sequenza dei gesti da effettuare è faticoso e tantomeno la nostra attenzione si distacca da quello che stiamo facendo.

Diverso ma simile è il meccanismo alla base della categorizzazione e del conseguente giudizio; infatti impariamo a riconoscere gli oggetti, come anche le situazioni, basandoci su pochi elementi. Siamo in grado di riconoscere un oggetto familiare con pochi tratti, anche se viene presentato per poche decine di millisecondi.

La velocità di giudizio di una situazione, se la vediamo in chiave evolutiva, può salvarci la vita.

Riconoscere e reagire a una situazione di pericolo è una abilità importante per la sopravvivenza e nell’evoluzione è stata decisamente favorita.

Il cervello è quindi abituato a sommare gli elementi e trarne rapidamente un giudizio di massima, questo viene eseguito in parallelo sia da strutture comprese nel paleoencefalo, sia più lentamente dalla corteccia. L’obiettivo è quello di capire se la situazione, ad esempio, è pericolosa o meno e quale reazione è la più indicata. Più sono coinvolte le strutture antiche come l’amigdala, una piccola area del nostro cervell o, più la reazione comportamentale sarà “cablata ” e difficilmente modificabile, tanto che spesso reagiamo alla paura senza neanche renderci conto di quello che stiamo facendo. L’amigdala infatti media le risposte vegetative alla paura, innescando tutte le risposte necessarie alla reazione di fuga o attacco, come il rilascio di adrenalina. Con il coinvolgimento della corteccia diveniamo esperti giudici di situazioni e in più possiamo elaborare, ancora prima che la situazione possa diventare oggettivamente pericolosa, elementi che ci indicano se lo può diventare.

La necessità di giudicare la realtà diviene, rispetto a questa visione, la necessità di semplificare il quantitativo di informazioni a cui siamo esposti, categorizzandole e inserendole in schemi già conosciuti. Processi di deduzione e induzione ci aiutano a fare ciò, e ci permettono di vivere senza dover imparare tutti i giorni le stesse cose.

Immaginate di cambiare macchinetta del caffè, sicuramente potreste avvertire qualche difficoltà se vi sono differenze sostanziali tra il modello vecchio e nuovo, ma sarete sicuramente più rapidi di chi una macchinetta del caffè non l’ha mai vista e se poi i modelli si somigliano probabilmente non avvertirete nessuna difficoltà. Gli automatismi e la generalizzazione ci aiutano ad avere a che fare con una realtà molto complessa che non si presenta mai uguale, ma in cui noi riusciamo comunque a muoverci.

Automatismi buoni quindi, perché ogni volta che prendiamo la macchina non dobbiamo imparare a guidare nuovamente.

Cosa ci perdiamo?

Ci perdiamo proprio la complessità, vivere in una realtà che illusoriamente ci figuriamo come completamente prevedibile e categorizzata non ci lascia apprezzare le differenze, la novità, la meraviglia di qualcosa che non è mai uguale a se stessa.

 

 

Laura Pieroni

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